• Oct 20 2025 - 11:17
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Musica tradizionale persiana alla Biblioteca Nazionale di Roma

Hafez e il linguaggio universale della poesia

La Biblioteca Nazionale Centrale di Roma ha ospitato mercoledì 16 ottobre 2025 un evento straordinario dedicato a Hafez, il sommo poeta persiano

Sebbene Hafez sia annoverato tra i poeti più noti e celebrati in Europa, particolarmente apprezzato in ambienti francesi e specialmente tedeschi, avendo perfino profondamente ispirato il poeta Johann Wolfgang von Goethe il quale, nella sua opera dal titoloWestöstlicher Divan(Divano occidentale orientale) del 1819, immagina un dialogo con il poeta persiano vissuto ben quattrocento anni prima, in Italia, il Paese di Dante, Petrarca e Boccaccio, patria della letteratura e dell’amore per la poesia, il grande compositore di Shiraz non è altrettanto conosciuto e apprezzato. Cionondimeno, l’Iran e l’Italia, due Paesi dalla storia ricca e millenaria, culle di grandi civiltà che han cambiato il mondo e segnato in maniera permanente il corso della storia dell’umanità, hanno sempre vantato tra loro una relazione di amicizia e affinità, la quale, a dispetto degli ardui e tempestosi tempi contemporanei, è possibile, anzi, è doveroso recuperare e valorizzare. E quale modo migliore per far ciò di appellarsi alla lingua universale della poesia e della musica, tanto cara all’Iran quanto al nostro Bel Paese? E quale luogo migliore per realizzare questo dialogo, questo incontro di culture distanti eppure affini, della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, archivio storico della memoria e della letteratura italiana?

 È quanto è avvenuto mercoledì 16 ottobre 2025 nelle sale del mastodontico edificio della Capitale: ilConcerto per Hafez, che ha avuto principio alle 16:45 per concludersi alle 18:30, ha riunito appassionati e curiosi, studenti e professori, iraniani e italiani in un ascolto appassionato e in un dialogo poetico e musicale tra culture. L’incontro, aprendosi con l’intervento del professor Stefano Pellò, docente di Lingua e Letteratura Persiana presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, si è poi concluso, come da programma, con un concerto di musica tradizionale persiana ad opera del gruppo musicale Soroush Molana.

Ancor prima dell’inizio del programma, la saletta adibita all’evento si è colmata oltre ogni previsione, a dimostrazione del vivo interesse e della genuina curiosità che l’ambiente intellettuale italiano nutre verso il poeta di Shiraz e la cultura persiana in generale. “Non esistono molte occasioni simili, ed è un peccato”, ha commentato una delle partecipanti all’evento, prendendo posto insieme alla figlia. E il dialogo interculturale ha avuto inizio ben prima dell’apertura dell’incontro, quando ospiti di origine iraniana e partecipanti italiani, in attesa che i relatori annunciassero l’inizio all’evento, hanno avuto modo di conversare tra loro delle rispettive culture e tradizioni, riconoscendo tra esse molti più punti di contatto che di distanza e stupendosi del reciproco interesse culturale.

È dunque in un clima di convivialità e curiosità che, allo scoccare dell’ora prestabilita, ha potuto aver principio l’evento vero e proprio. Abbassandosi le luci sulla sala, è rimasto illuminato solo il tavolo rialzato dei relatori, ove il professor Pellò, alle spalle del quale scorrevano le immagini dei maestosi paesaggi mozzafiato dell’Iran, dai deserti ardenti alle montagne verdeggianti, dal mare scrosciante ai vestiti tradizionali e regionali, ha avuto modo di iniziare il proprio intervento di introduzione della figura di Hafez.

“La musica, più di ogni parola, ha il potere di restituire la sonorità semantica della poesia”, ha incominciato il suo discorso il professore, che è stato traduttore di 686 ghazal di Hafez nel 2005 e di 80 canti del medesimo poeta nel 2008, insieme all’orientalista e linguista di grande prestigio Gianroberto Scarcia, a sua volta allievo dell’arabista e iranista Alessandro Bausani. “La traduzione”, ha spiegato, “non è solo un’analisi del testo per spiegarlo, trattandosi anche di un’interpretazione simile al modo in cui si interpreta un testo musicale”. Si è dunque domandato, a quel punto, se fosse possibile, tramite la musica, avvicinarsi alla poetica trecentesca del compositore persiano. “Il Canzoniere di Hafez può essere definito unTesto della Cultura, poiché, più che una semplice raccolta spirituale o musicale, rappresenta un testo capace di superare sé stesso nella storia, valicando le epoche” e dialogando, in tal modo, con chiunque si approcci al suoDivanin qualsiasi momento, in qualsiasi luogo. È proprio in questa caratteristica che risiede la grandezza del poeta di Shiraz: comunicare il suo messaggio a chiunque, tanto ad un suo contemporaneo persiano quanto ad un italiano del 2025! Ma qual è, in particolare, il suddetto messaggio? Per rispondere a questa domanda, il professor Pellò è ricorso ad un’altra grande figura della poesia e della filosofia persiana, capace di legare tra loro razionalità e sentimento, misticismo e materialità: Mullah Fayz Kashani, il quale, nel suoDivan Shoqe Mahdi, ha identificato il fulcro dell’amore di Hafez nell’Imam Mahdi, il salvatore promesso che, secondo i musulmani, giungerà alla fine dei tempi per espandere l’Islam ed instaurare un governo fondato sulla giustizia divina. “Secondo Kashani, la poesia di Hafez è la massima espressione dell’amore per l’Imam”, ha spiegato il professor Pellò, “ma ammette di non conoscere realmente quali fossero gli intenti del poeta, che tuttora restano un mistero”.

Un’altra modalità di approccio all’opera di Hafez risale al 1994 ad opera del citato professor Gianroberto Scarcia, il quale tradusse i versi del poeta di Shiraz ponendoli a confronto coi sonetti del suo contemporaneo italiano, Francesco Petrarca. Inoltre, ilDivan, in quanto pregiatissimo trattato di sufismo, “condivide delle similitudini col concetto hindu di manifestazione materiale del divino”, ed una rielaborazione frammentata dei suoi ghazal, ove singoli versi vengono isolati assumendo, in tal modo, significati propri e inediti, ha avvicinato il poeta persiano agli haiku giapponesi. Esempi, questi, che dimostrano ancora una volta la capacità dell’opera di Hafez di porsi in dialogo con differenti culture e di rapportarsi in maniera costruttiva con ogni tradizione dovunque nel mondo. Esemplificativo di questo concetto è un aneddoto riportato dal professor Pellò stesso: “Una bambina afghana soleva leggere ilDivandi Hafez sul tetto della propria casa. Con lo scoppio della guerra degli anni Ottanta, quella bambina divenne una rifugiata a Teheran e, scoprendo che a scuola si stava studiando proprio Hafez, esclamò:Lo conosco! È il poeta del mio villaggio!”.   

Per quanto riguarda i temi dell’opera di Hafez, ha spiegato il professore, “si tratta di temi amorosi che potremmo paragonare al concetto di amor cortese medievale, con riferimenti alla natura, alla celebrazione del vino e alla critica e al sovvertimento dell’ordine costituito per esaltare, in contrapposizione, la purezza di cuore degli umili e dei sapienti”. Hafez è stato poi definito come “la vetta suprema del cosiddettostile iracheno della poesia persiana, caratterizzato dalla tendenza a cogliere insieme, senza contraddizione e soluzione di continuità, l’aspetto immanente e quello trascendente degli oggetti poetici: il vino rappresenta sia l’ebrezza che l’ascesa esoterica, l’amato può essere riferito sia ad un essere umano che a Dio o ad un sovrano. Quel che è essenziale è ancorare l’interpretazione dell’opera al piano testuale, poiché risulterebbe irrilevante appellarsi agli eventi, più o meno noti, della vita di Hafez”.

Nei ghazal di Hafez è inoltre preponderante il tema dell’Irfan, ovvero della gnosi, già presente nei suoi predecessori quali al-Ghazali o Attar, da lui direttamente citati. “Il poeta di Shiraz”, si è poi avviato verso la conclusione del suo intervento il professor Pellò, “porta a compimento una poetica a lui precedente dosandola fino ad essere percepita come perfetta, caratterizzata da una forte ambiguità espressiva. La sua poetica è pari ad un modo di essere al mondo, un filtro per leggere la realtà, quindi la si potrebbe definire come un compiuto umanesimo”. In coda all’esposizione, il professor Stefano Pellò ha rapito il pubblico di attenti e meravigliati ascoltatori con la lettura della traduzione da lui operata del primo ghazal delDivan, che “rappresenta un condensato della poesia di Hafez”.

Il poeta di Shiraz, col suo lavoro, è stato il salvatore della cultura e della tradizione persiane, imprimendole in maniera eterna nelle sue opere e rendendole, in tal modo, immortali e immuni al mutare della Storia, sì da trasmetterle ai suoi successori. In assenza dell’opera di Hafez non si sarebbero avute le speculazioni filosofiche di Fayz Kashani, senza le quali, a loro volta, non avrebbero avuto luogo le esposizioni poetiche e filosofiche dei suoi successori. Come una lunga catena che, fin dall’epoca della persia preislamica, raggiunge la contemporaneità, la cultura persiana è sopravvissuta e si è rinnovata grazie agli anelli che se ne sono fatti portatori e tramandatori, da Ferdowsi ad Hafez, da Hafez a Kashani e così via, ognuno dei quali rappresenta la vetta artistica, poetica e filosofica della sua propria epoca nonché un faro ed una fonte di ispirazione per i secoli successivi.

A corollario dell’evento, la banda musicale Soroush Molana ha immerso il pubblico nella melodia tradizionale persiana, affiancandovi la recitazione di alcuni ghazal del poeta celebrato, mettendo in scena quella stessa sublime musica che, come si è detto al principio, rappresenta il linguaggio universale che può riavvicinare due Paesi, l’Italia e l’Iran, che tanto hanno da comunicare e da condividere l’un l’altro, e proprio la poesia di Hafez, tanto cara in occidente quanto colpevolmente trascurata in Italia, dove invece il terreno è fertile per una riscoperta del compositore persiano, può rappresentare un ponte tra le culture ed un’occasione d’incontro tra due grandi civiltà la cui amicizia è impressa con l’inchiostro nella letteratura e nella poetica.

Rome Italy

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